….sta nel fatto che il mondo stesso è stato escluso dalla psicoanalisi. Non viene considerata la sofferenza dell’anima di fronte ad un mondo inquinato, rumoroso, esteticamente sgradevole, pieno di conflitti.

James Hillman, che studiò con Jung e diresse lo Jung Institute a Zurigo, rappresenta la coscienza profonda nel mondo della psicoanalisi. Spesso si muove nel terreno della fertile provocazione mettendo in dubbio i fondamenti stessi del lavoro analitico, in particolare riguardo ai rapporti tra psicoanalisi e società. Hillman è il “bambino difficile” della psicoanalisi.

In 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, James Hillman si accoppia con un altro eretico e profondo conoscitore delle inquietudini del nostro mondo, un giornalista di nome Michael Ventura. Questa strana coppia inizia il loro rapporto con una serie di colloqui di fronte all’oceano californiano e lo prosegue nella forma squisitamente arcaica dello scambio di lettere, che ricorda i primi tempi della storia della psicoanalisi quando le discussioni sull’anima erano più importanti della ricerca di rapide soluzioni e delle classificazioni patologiche.

La forma di questi dialoghi è in netto contrasto con la moderna industria delle comunicazioni, che, secondo le parole di Hillman, “non pongono fine, e insisto sul non, alla mia solitudine, ma anzi la intensificano”. Non essere collegati all’immensa rete, non poter essere raggiunti, porta al vuoto e alla non esistenza. Per difenderci da queste, arriviamo a ciò che Hillman definisce “comunicomania”. Quindi confronta la moderna forma di comunicazione con la tradizionale scrittura, in cui si esce dal meccanismo dipendente, dove si è in solitudine ma non ci si sente soli, in silenzio, con “appena il leggero rumore del pennino o il ronzio della macchina. Non sono sparpagliato qua e là per la rete; non sono in collegamento, ma in raccoglimento”.

Ma perchè dopo cent’anni di psicoterapia, che avrebbero dovuto rendere l’uomo più sensibile, il mondo va sempre peggio? Il problema, per Hillman, sta nel fatto che il mondo stesso è stato escluso dalla psicoanalisi. La psicoterapia ha a che fare solamente con i singoli individui. Il disagio dei pazienti non viene visto come la sofferenza dell’anima di fronte ad un mondo in guerra, inquinato, rumoroso, esteticamente sgradevole, ma come una proiezione verso l’esterno di un problema che è solo interiore. Il paziente viene adattato al mondo in cui vive e l’anima del mondo viene ignorata. Hillman considera la sfera dell’emotività come un fatto sociale oltre che individuale, come un ponte che ci connette al mondo.

Gli studi degli psicoanalisti, che per Hillman potrebbero trasformarsi in cellule rivoluzionarie dirette ai problemi del pianeta, di fatto anestetizzano la passione e la frustrazione del paziente, alimentando il narcisismo del “bambino interiore”, che urla il suo desiderio di crescere e di avere più potere. Ma lo scopo della psicanalisi per Hillman non è la crescita, bensì la perdita. La perdita di parti di sé che non sono più vere per noi stessi e la perdita delle illusioni su ciò che siamo, in modo da lasciare emergere il nucleo più profondo dell’anima. Il tema delle caratteristiche individuali dell’anima è stato ulteriormente sviluppato negli scritti successivi di Hillman, in particolare ne Il codice dell’anima e ne La forza di carattere.

L’interiorità può diventare così un rifugio e un mantenimento della visione cartesiana che c’è un mondo “là fuori”, che è fondamentalmente senz’anima, e un mondo vivente “qui dentro”. Se crediamo che solo gli esseri umani abbiano la prerogativa dell’anima, non ci faremo scrupoli a considerare le risorse del pianeta come materia inanimata che non ha alcuna relazione con il nostro essere.

Così il Galenico mens sana in corpore sano, oggi assume il significato che la mente è sana quando il “corpo del mondo”, dove risiede anche la sua anima, è altrettanto sano. Trascurando l’ambiente, il corpo del mondo, arriviamo alle patologie mentali.

Hillman è un maestro della psiche e dei suoi rapporti con il collettivo e con l’anima mundi e ci incoraggia all’individuazione della nostra particolare anima, unica e irripetibile. Egli non si spinge a parlarci del mondo dello spirito, né di illuminazione, né tantomeno di non-sé. Ma ogni praticante spirituale che voglia abbandonare il proprio ego deve in partenza possederne uno, tanto meglio se autentico.

                                                                                                                                                                              di Toshan Ivo Quartiroli

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