Questi articoli sono stati pubblicati da alcune riviste rivolte al benessere della persona, le quali mi hanno chiesto un parere “professionale”, ma “leggero”, buona lettura…
TIPI DA SBALLO (STILI DI BALLO)
“Dimmi come balli e ti dirò dove ti ricoverano” diceva un famoso proverbio. Molti Psicoterapeuti sostengono che il linguaggio del corpo parla chiaro (che è già una contraddizione in termini), altri che è muto, altri ancora che è sordo, ecc.
Insomma, un ginepraio di punti di vista. Fa niente. Chiediamoci: è possibile ottenere un profilo di personalità semplicemente guardando una persona ballare? Non credo basti, ma facciamo finta di sì, ricordandoci sempre che, come dice Mingozzi: “finché sono scemo sono libero di dire le scemate che voglio”.
Sarà capitato di vedere persone dimenarsi senza una ragione apparente; ebbene, stanno ballando. Alcuni ballando provocano inutili procurati allarmi, altri fan venire desideri erotici, altri ancora ti fan venir voglia di legarli. Tu come balli?.
Il tipo salterino (che per ballare salta sempre)
Un bel test sarebbe inchiodargli i piedi al pavimento con tasselli del 12, per vedere cosa succede. Nel “Grounding”, posizione fisica di radicamento al terreno tanto cara a Alexander Lowen, Babbo dell’analisi Bioenergetica, dopo Reich, allievo di Freud (quello che ha vinto il Giro D’Italia), il contatto con la mamma terra è fondamentale per aver un buon contatto con la realtà. Il tipo salterino ci potrebbe indurre a chiederci quanto “fugge” saltando. Certo che far fermare la musica in discoteca per fargli questa domanda potrebbe mettervi in imbarazzo specie se vi manda in quel luogo tanto caro alle prugne.
Nel caso si tratti di danza tribale che prevede salti, la prima domanda da porsi è che ci fa un indigeno a casa vostra. I significati profondi di una danza tribale bisognerebbe chiederli alla tribù che li fa, ma se non la avete come vicina di casa, dovrete accontentarvi dei libri. Ma anche lì, più o meno troverete che anche i salti servono spesso ad “impiantare” il corpo per terra. Oggi fortunatamente abbiamo lo trivelle. Insomma, per il tipo ballerino, la realtà “scotta”, meglio fuggire nella fantasia!
Il tipo dinoccolato (impacciato, mani stese lungo i fianchi)
In genere ha le braccia talmente a terra che ti viene da mettergli due stracci in mano e fargli tirare la cera. Le braccia e le mani, che possono simboleggiare la capacità di costruire, di realizzare, di plasmare il mondo, sono inibite in una sorta di timidezza-paura di osare. L’atteggiamento è un po’ del “vorrei, ma non posso”, e quindi del “se le muovo me le segano, quindi me le tengo vicine”. Un bel test di conferma consisterebbe nel fargli ghiri, ghiri sotto le ascelle o chiedergli di ballare e cambiare le lampadine. Da un punto di vista ingegneristico si potrebbe però definire un “ballerino antisismico”, nel senso che in caso di terremoto (emotivo) l’apparente fragilità si rivela vincente, in quanto l’equilibrio vero è riposto nella struttura dinoccolata del corpo. All’inverso ci sono persone che agitano le braccia e le mani modello “naufragio perpetuo”, che sono bravissime a modellare la realtà, ma in caso di terremoto la struttura portante (il corpo) si scopre d’argilla e le braccia e le mani, punti di equilibrio, si rivelano inefficaci.
Il tipo da lento (quello che sta fermo col rock scatenato e si anima solo con i lenti)
Nella Musicoterapia passiva esisterebbe una correlazione tra la depressione e la musica lenta e tra la maniacalità e la musica forte e ritmata. Tradotto: chi è triste preferirebbe le lagne, chi è molto, troppo allegro l’”unz unz” tanto in voga nei Tarazzi. Qui, sempre da un punto di vista ingegneristico, esisterebbe un meccanismo strano. Solo con la lentezza la persona “sente”; se si agita come un frullatore perde la Trebisonda. Egli è un vecchio “Diesel”, va piano, sano e lontano (anche se oggi i Diesel vanno fortissimo, lontanissimo e si impastano che è un piacere).
Il tipo sensuale (muove il bacino, le mani, espressioni degli occhi)
Se il movimento è sinuoso vi sembrerà di vedere le onde del mare, in questo caso siamo in presenza di un mammifero con una buona circolazione energetica. Questo essere umano ballante, sempre da un punto di vista ingegneristico è ottimo. Tutto è mobilissimo e rigidissimo all’occorrenza (ehmm…). Sembra un gatto. Test: se mangia i croccantini è proprio un gatto. In genere si tratta di persone molto vive emotivamente, aperte, simpatiche da dare i nervi. Da ciò si potrebbe dedurre che i ballerini siano le persone emotivamente più libere. Una cippa! più si va sul professionale più si rischia di finire sul controllo e la precisione del movimento, che toglie naturalezza all’orango tango che è in noi. Ballare con precisione implica un controllo vigile della mente, all’opposto, gli ubriachi o chi usa sostanze psicoattive stimolanti, si dimena, non balla. Ballare è un equilibrio armonico che consiste nell’abbandonare la mente al corpo, non nell’esaltarla per costringere il corpo a fatiche che non gli appartengono.
Il tipo rigido (il genere “tronco”, che non si lascia mai andare…)
Capita di vedere certi umani ballare ed essere presi dalla voglia di scuoterli per vedere se c’è dentro la sorpresa. L’impressione è di un blocco di cemento con sotto le ruote. Un test di conferma lo potreste ottenere dandogli una gomitata nel costato, ma vi costerebbe il gomito. Attenzione: spesso succede che una struttura rigida esteriore serva a preservare una eccessiva sensibilità interiore, o all’inverso, e cioè che una struttura apparentemente morbida ed esterna, nasconda una durezza interiore. Quindi non traete conclusioni affrettate se prima non date una forchettata al ballerino per verificare il grado di cottura esterno-interno.
Concludendo, mi piace usare la metafora degli umani visti come strumenti musicali che suonano come vogliono loro; spesso li dimentichiamo per non sentire le note dolenti e quindi si arrugginiscono o si scordano, ma quando si riprendono, il pubblico si ferma ad ascoltare la loro melodia.
GIOCO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
Diceva un grande filosofo: “Le serate d’estate sono come quelle d’inverno, ma col riscaldamento spento” (come si chiamasse il filosofo non si è mai saputo in quanto si vergognava di dire certe boiate). Certo, per divertirsi la sera ci sono molti modi, ma piuttosto banali, tipo trasportare tutta la sabbia di Riccione a Milano Marittima e viceversa (è divertentissimo, non se ne accorge nessuno); oppure si può andare sulla statale a scattare foto con i Flash agli automobilisti fingendosi Autovelox. Ma per divertirsi in modo originale ci vuole fantasia, e scartata l’eutanasia rimane poco. E poi, insomma, è inutile negarlo, per chi è single (per chi è accoppiato ancora di più) il divertimento preferito è sicuramente creare l’occasione di nuove “conoscenze”. Il modo migliore di corteggiare, si sa, è coprirsi dietro un simpatico giochino, del quale ce ne può fregare di meno se alla fine non prevede l’utilizzo dei sensi (dire, fare, baciare). Purtroppo le barbare usanze della nostra società pretendono che agli obiettivi ci si arrivi girandoci intorno (come fanno gli squali, siamo barbari).
Una volta c’era il classico gioco della bottiglia, che consisteva nel farla girare e avere quindi una scusante per il bacio; dopodiché si è passati al gioco delle bottiglie, che consisteva nel tracannarsele per poi avere la scusante del bacio con finta perdita di coscienza (“scusa per ieri sera, ero ubriaco/a”); pare che alcuni abbiano usato il gioco della bottiglia in una variante inconsueta: sceglievano l’amato/a che volevano baciare, dopodiché a mò di nave cercavano di vararlo sulla fronte con il fine di tramortirlo/a e baciarlo/a.
Anche le serate con la chitarra han fatto il loro tempo, e sempre più difficile è diventato trovare qualcuno che suoni e canti mentre gli altri limonano. Inoltre se non fatto in spiaggia c’era il problema delle secchiate dai vicini. E d’altronde, anche in spiaggia, al giorno d’oggi, non c’è stabilimento che non si sia trasformato in discoteca e 6000 watt contro due corde vocali si avverte la differenza.
Quindi, ecco a voi una serie di passatempi che vi faranno divertire così tanto che il giorno dopo farete le valigie e tornerete in città chiedendo di fare gli straordinari la domenica.
Innanzi tutto i giochi d’estate devono avere uno sfondo di mistero, nessuno deve saper niente, ma non troppo, se no non si presenta nessuno.
– Il primo si chiama: “Facciamo il quadro della situazione”. E’ semplicissimo nella sua complessità: tutti i partecipanti devono essere bendati (o con gli occhi chiusi se non volete strappare le tende), tranne le due “guide” che dovranno essere un maschietto e una femminuccia. La guida femminuccia guiderà verbalmente i maschietti, e ovviamente la guida maschietto guiderà le femminucce. I partecipanti (dei quali le guide devono sapere il nome o più semplicemente numerarli) devono muoversi “comandati” verbalmente dalle guide (es.: “Paola: due passi a destra; Simone: allunga il braccio a destra). Le due guide metteranno i partecipanti nelle posizioni più strane ( o ridicole o imbarazzanti) senza mai farli toccare, in modo tale che non si rendano conto quale è il quadro complessivo. Alla fine le guide (ricordiamo che ciascuna guida “dirige” il sesso opposto) tirano fuori una bella macchina fotografica o meglio ancora riprendono il quadro fatto. A questo punto alla voce “il quadro è fatto” (detto ovviamente dalle guide) i partecipanti possono aprire gli occhi e vedere dove, come e con chi sono finiti (oppure fare vedere le foto o i filmini alla fine di tutto). Risate assicurate, specie se mettete insieme le persone sbagliate…
– Questo gioco si chiama: “Ci sto dentro” e si consiglia a gruppi di amici già abbastanza affiatati o in stato alterato di coscienza. I partecipanti devono entrare in acqua in costume (ovvio, se c’è il mare o il lago, no ai torrenti di montagna e alle pozzanghere) fino a farsi arrivare il liquido alla gola. In cerchio ci si sfila il proprio costume e lo si tende con le mani al centro, per mischiarlo con tutti gli altri. Si “pesca” un costume e lo si indossa (capiterà che un maschio debba indossare un due pezzi, amen) dopodiché, uno alla volta ci si immerge e con il tatto bisogna riconoscere il proprio costume (toccando solo il costume). Prima di dichiararlo bisogna aspettare che (uno alla volta) tutti abbiamo fatto la loro ricerca, infine, chi non ha indovinato deve tornare a riva con il proprio costume tra le mani (lo può usare per coprirsi, ma non metterselo), così un’altra volta impara a mettersi in numerino sopra come si faceva in colonia.
– Questo gioco si chiama: “amore all’asta” si scrivono dei biglietti anonimi che contengono una prestazione (ovviamente non eccessiva, es.: un bacetto, un invito a cena, una carezza, un massaggio, un giro di walzer, etc.) , dopodiché ognuno sceglie un biglietto e uno alla volta si diventa oggetto d’asta e banditore. Questi si mette in piedi da qualche parte, legge il biglietto e mette all’asta la sua prestazione. I partecipanti hanno un budget uguale (può essere 10 punti ò un euro in monete da 10). Il banditore (colui o colei che ha estratto il biglietto) deve accettare di eseguire la propria prestazione al miglior offerente battendo per tre volte l’ultima cifra (proprio come nei film, es.: “30 centesimi e uno, e due e tre”). Se proprio non vuole concedersi al miglior offerente può rilanciare anche lui/lei e per rinunciare alla prestazione dovrà dare i soldi ( o i punti) all’offerente.
– Gioco “limoniamo per finta”. Con una mano davanti alla bocca (come se fosse il becco di un papero) si gira ad occhi chiusi (o bendati se non avete fatto fuori le tende di prima) e quando si incontra qualcuno col “becco” ci si bacia muovendo le dita come se fossero le labbra del becco (ovviamente possono capitare due maschietti e due femminucce insieme). Dopo che si sono baciate 5 persone ci si ferma e si cerca di indovinare chi si è baciato, chi ha fatto più errori per penitenza deve baciare un papero vero senza le mani davanti. Dimenticavo: i baci verranno fotografati o video-registrati con una telecamera e in seguito potranno essere usati per ricattare la persona.
– Questo passatempo si intitola: “ il cantante cerebrale disconnesso”. Si sceglie una canzone conosciuta da tutti, meglio se c’è qualcuno con la chitarra che accompagna. Ogni partecipante scrive su un biglietto anonimo con quale “tono” o “intenzione” dovrà essere cantata. Ad esempio un tono allegro, piuttosto che erotico, incazzato, geloso, scazzato, interessato, triste, ammiccante e seduttivo, rumeno. E’ ovvio che più il tono da riprodurre sarà particolare più la cosa riuscirà esilarante. Si mischiano i biglietti e ognuno ne sceglie uno senza rivelarne il contenuto. Quindi, in cerchio, il primo comincia a cantare il pezzo con il suo “tono”, non smetterà fino a che qualcuno non indovina il tono, a quel punto toccherà al secondo e così via. Si possono ovviamente fare più “giri”, ognuno segnerà quante volte è riuscito a indovinare per primo il “tono”. Il vincitore/trice avrà diritto a un CD con la stessa canzone nel caso se la fosse dimenticata.
– Per passare a giochi un po’ più impegnativi (da due neuroni in su), si può cimentarsi in: “Sé ideale e sé percepito” (come ti vedi tu e come ti vedono gli altri) Si scrivono su una lavagna o su un foglio grande una serie di difetti e di pregi; ognuno da un punteggio da 1 a 10 per i pregi che pensa di avere e da -1 a -10 per i difetti. In seguito chi ha ottenuto il punteggio più alto e più basso vengono sottoposti alla verifica. Fanno vedere tutte le singole voci e i partecipanti i quali danno un nuovo punteggio da 1 a 10 per ogni voce sul quale viene fatta la media. Alla fine si controlla la differenza tra come la persona si è percepita e come viene percepita dagli altri. Se la differenza supera i dieci punti gli si ride in faccia per punizione.
– Codesto trastullo si chiama: “la fiaba sfigata”. Si dividono le persone in ottimisti e pessimisti (anche se non lo sono qualcuno dovrà mettersi dall’altra parte in modo che siano pari) poi, in cerchio, uno comincia a raccontare una fiaba inventata, quando viene interrotto da un altro deve bloccarsi di colpo e lasciare continuare la fiaba all’altro/a, naturalmente ognuno dovrà seguire la propria dichiarata inclinazione umorale. Alla fine vince chi ha fatto più ridere.
– Gioco radical chic, si intitola: “mi compro l’autostima” in cerchio, ognuno ha in dotazione 1 euro in monetine. In cerchio ci si osserva e si scrive sul proprio biglietto le qualità che si ritiene che ciascuno dei partecipanti abbia e che si vorrebbero avere. In seguito comincia la contrattazione; ciascuno, a turno, decide che qualità comprare da un altro che può accettare o meno, poi passa a quello vicino e dopo due giri ognuna avrà un budget che corrisponde più o meno alla stima che gli altri hanno di lui/lei. A chi finisce senza soldi gli si regala un cappio. Chi è pieno di soldi, visto che sarà una persona ammirata e felice, dimostrerà di essere anche generosa regalando tutto ai poveri.
Buon divertimento e ricordate la massima del Filosofo: “chi si diverte con niente non ha niente di cui divertirsi, ma non lo sa, quindi fa lo stesso” (il Filosofo è lo stesso di prima).
COME FARE UNA CONQUISTA:
– IN PALESTRA
E’ vero che il maschietto è spesso rapito dalla bellezza, ma anche a farsi sequestrare dal fascino non si dispiace. In una palestra una femminuccia può rendersi affascinante in molti modi; mostrando la sua tenacia piuttosto che la cedevolezza, ironizzando sul fanatismo da palestrato, piuttosto che sul proprio fisico da scamorza. A seconda del pollo potrà quindi mettere in atto vari comportamenti che vanno dal semplice: “scusa mi insegni?” fino alle strategie più sofisticate come fingere di incastrarvi un dito da qualche parte o simulare uno strappo e chiedergli aiuto. L’importante è capire il ruolo che affascina il grullo e ripeterlo con costanza. Così, se vuole essere adulato per la sua prestanza fisica potete ogni tanto incitarlo facendo commenti del tipo: “ma quanti piegamenti consecutivi riesci a fare senza farti partire un embolo?”. L’avrete agganciato e se non si fa venire un colpo, ogni volta che vi vede sarà inconsciamente portato a non deludervi. Quindi all’improvviso per qualche giorno non prestategli attenzione, poi un giorno sì e altri tre no. Si chiama Condizionamento Operante. Funziona con i cani, figuriamoci con gli uomini.
– HAPPY HOUR
Si pensa che il maschietto che fugge vinca, ma anche la femminuccia che fugge ha il suo segugio.
Quindi puntatelo; appena ha in mano il bicchiere passategli vicino e urtatelo spostandogli appena la clavicola, chiedendo scusa e aggiungendo: “cosa non si farebbe per conoscerti!” (ovviamente col sorriso e in modo ironico). Dopodiché sparite e vedete l’effetto sortito, se non si avvicina, dopo un po’ rifate la stessa cosa commentando: “la prima volta è sempre la più bella”. E risparite. Alla terza volta passate voi con un bicchiere, lo guardate e gli dite: “non pensare di vendicarti”.
Se poi volete tecniche più sofisticate procuratevi un’amica e mettetela dall’altra parte del locale. Appena il vostro lui si trova sulla traiettoria, guardatelo e andategli incontro con un bel: “ciao, come stai, tesoro”. Lui sorriderà, voi lo scansate e andate oltre ad abbracciare la vostra amica, poi vi girate e gli chiedete: “scusa, ci conosciamo? No, perché ho visto che mi hai sorriso…”. Lo usava perfino Raimondo Vianello.
Oppure potete giocarvela sul tempismo; prendete la stessa oliva o la stessa tartina nello stesso momento, basta un sorriso e una battuta del tipo: “scusa, la mangio io, è una questione di principio” per avviare una conversazione sul furto di alimentari.
Gli uomini intelligenti apprezzano molto l’umorismo femminile, il problema è spiegarglielo.
– TRA LE SCRIVANIE
Conquistare in ufficio è un lavoro spesso lento e laborioso poiché qui vale la tecnica del cinese in riva al fiume. Spesso il maschietto sul lavoro è frustrato e trova affascinante chi lo apprezza (chi dà autostima riceve autostima). Quindi fategli sentire che siete sempre dalla sua parte, se vi dice che il capoufficio è antipatico, ditegli che a casa giocate a freccette con la sua faccia. Se è un periodo lavorativo stressante fategli trovare un biglietto sulla scrivania con scritto: “coraggio, ci salveranno gli alieni”. Procuratevi cioccolatini e caramelle, e in un momento di particolare stress tirategliene simpaticamente una sulla scrivania accompagnando il gesto con una frase, tipo: “toh, rivitalizzanti”. Gli uomini sono un po’ come i cavalli, dopo ogni sforzo vogliono lo zuccherino e col tempo riconoscono chi glielo ha dato.
– ALLA CASSA DEL SUPER (DURANTE LA SPESA AL SUPER)
Al Super non vince la sapientona, ma la sbadata, poiché risulta al maschietto tanto simpatica, ma soprattutto affascinante il quanto apparentemente facile preda.
Andargli con una rotella sul tallone è banale e non a tutti piace; rubargli il carrello è già più simpatico, soprattutto se l’avete seguito e avrete preso più o meno gli stessi prodotti suoi, poi basterà cominciare a dire: “vedo che più o meno mangiamo le stesse schifezze”.
Se lui è alto potete chiedergli se vi prende un prodotto a 2 metri di altezza, se è 1.40 potete chiedetegli di prendervene uno nel primo scaffale adducendo problemi di pressione bassa; dopodiché per non far finire la conversazione potete chiedergli dove si trova il gorgonzola scambiandolo per un commesso, lui vi dirà che non lo è, voi gli direte che effettivamente ha più la faccia da ingegnere, lui vi dirà che non è ingegnere, ecc.
Se volete fare un test secco potete mettetevi in fila alla cassa dietro il gonzo prescelto, poi chiedergli se per cortesia vi tiene il posto in quanto avete dimenticato lo zucchero. Andate a farvi un giro per il supermercato e vi leggete a sbafo qualche rivista, dopodiché tornate dopo 10 minuti; se è ancora là, è fatta.
Oppure: lui vi precede alla cassa, mettere distrattamente uno dei prodotti che avete comperato al di là del triangolo divisorio che separa le spese (possibilmente un prodotto che ha preso anche lui, non si accorgerà del doppione), dopodiché, se il vostro prodotto viene battuto al gonzo, aspettate che esca, lo inseguite e chiarite l’equivoco. Paradossalmente sarà lui a sentirsi in colpa e se voi siete brave a fare la faccina da Coker gli scatterà la tenerezza che ha reso tanto ai negozi da sposa.
– A SPASSO CON IL CANE
Se solo “lui” ha un cane è fin troppo facile. Basterà buttarsi ai piedi del cane urlando: “noo, è tale e quale il mio”, dopodiché attaccare una storia strappalacrime sul proprio cane disperso in guerra o panzane simili.
Una tecnica più subdola consiste nel comperare quegli Stick per cani che nell’uomo corrispondono ai salatini da aperitivo. Ungetevi bene le dita, dopodiché imboscatevi la confezione rigorosamente aperte in una tasca esterna. Quindi avvicinatevi al cane del gonzo e fate per dargli una carezza. Il cane comincerà a leccarvi la mano. Vi vedrà nel ruolo accogliente di madre e di moglie e scatterà inconsciamente il pensiero: “però, che persona naturalmente amabile…”. Se con il tempo vi invita a cena lavatemi e mettetevi un profumo, preferisce.
Due raccomandazioni per il cane: punto primo informatevi sulle razze, dire: “anch’io avevo un Bassotto così, accarezzando un S.Bernardo” si rischia di essere fraintesi e portati dall’oculista; secondariamente chiedete sempre prima se il cane morde; conoscere il padrone al pronto soccorso non fa “fine”.
Se invece avete un cane ciascuno è più difficile, poiché se i cani sono dello stesso sesso o non si piacciono possono litigare. In questo caso consiglierei di giocarsela furbescamente del tipo: “sai ce l’ho da due giorni e non so come ci si deve comportare” il vostro cane si chiederà perché dopo 12 anni gli dite questo, ma lui si chiederà cosa avete di tanto amabile per avere tutto quel affetto da un cane che dite di avere da soli due giorni.
COME STAR MEGLIO IN DUE SE AVETE:
…un minuto
Se ti devi affidare alla tecnologia perché la persone è lontana, più che una telefonata da un minuto che sa tanto di “ho finito i gettoni” considererei un SMS possibilmente non di serie del tipo TVB o TVBMCDF (ti voglio bene ma c’ho da fare), ma qualcosa di più particolare del tipo: “scusa, ma ho solo pochi secondi per dirti che ti a”.
Nel caso ci si veda, attenzione! Un minuto lascia poco alla realtà e molto all’immaginazione, per cui una semplice frase del tipo: “povero amore, sei stanco” può dar luogo a paranoie del tipo: “oggi sono brutto, mi faccio una plastica”.
Sarebbe preferibile un minuto da “oggetto”, ossia un piccolo pensierino che tenga in caldo il cuore dell’innamorato con un pizzico di umorismo (l’umorismo nella donna è una cosa che fa impazzire gli uomini), quindi va bene portargli un etto di Bresaola o comunque qualcosa che non si aspetti tipo una lettera di raccomandazioni per una notte d’amore.
…un’ora
“…per un’ora d’amore non so cosa darei…” diceva una vecchia canzone, quindi, avendo a disposizione un luogo consono, rimandarlo in ufficio con addosso il proprio profumo può essere un pensiero delicato.
Ma giocando di fantasia può essere altrettanto allettante utilizzare l’ora “d’aria” per raccontargli cosa si è visto in un negozio di biancheria intima, piuttosto che raccontargli (inventandoselo) di averlo sognato in un ruolo da Tarzan. Il narcisismo maschile è risaputo e alcune piccole bugie rendono il mondo vivibile. Il senso di tutto ciò e destare interesse, curiosità e aspettativa, gli ingredienti che hanno permesso a molti cuori di scrivere poesie e canzoni.
…un giorno
Per essere originali si può presentare con un bel programma “pacco” della giornata, naturalmente scritto, che parte dalla visita ai parenti al cimitero all’osservazione del tramonto dalla stazione centrale in mezzo ai pendolari che tornano a casa smoccolando. Dopo un primo momento di perplessità, se non siete fidanzate con un frigorifero, apprezzerà la creatività e tra un sorriso e un calcio negli stinchi (amichevole), potrete azzardare il vero programma: rendere la giornata speciale.
Come si rende una giornata speciale? Come dice la parola, non deve essere “normale”, ovviamente neanche troppo “speciale” poiché portarlo a girare la malta può non essere gradito. Una giornata da ricordare può essere semplicemente parlare per tutto il giorno in Inglese (meno lo sapete più vi divertirete entrambi), ma anche “giocare” a ipotizzare a cosa fareste del vostro amore se foste all’improvviso miliardari (se lo siete potete giocare a cosa fareste se le tasse vi mangiano tutto). Organizzare una giornata prima è pericoloso, si creano delle aspettative e la spontaneità non può inserirsi in modo naturale poiché è controllata da quello che ci si aspetta. Un “trucco” è legare la giornata a qualcosa di “fisico”; l’utilizzazione del corpo lascia traccia molto più profonda nella mente che il semplice parlare, anzi, le giornate “meravigliose” che si ricordano sono fatte quasi sempre di sensazioni corporee, quasi mai di parole, queste vengono solo dopo per ricordare ciò che il corpo ha registrato.
…un Week-end
Se hai tanti soldini un viaggietto è sempre gradito, magari caricandolo in macchina per destinazione a lui ignota con una benda sugli occhi (però guida tu, è meglio). Ovviamente bisogna fare attenzione a non fargli come sorpresa un frontale contro un Tir. La vita è un teatro e i migliori attori sono quelli che appaiono naturali. Quindi, fingere di non avere programmi per snocciolarli quasi per caso, vi farà apparire creative e vitali (in fondo ogni opera creativa ha un periodo di incubazione). Il vero trucco non è non aver programmi, ma non dirli al Partner.
Per chi non l’ha mai fatto, un’esperienza unica è noleggiare un camper, che unisce la voglia d’intimità alla libertà del viaggio, ma anche restare a casa e cimentarsi nella cucina giapponese, magari per 4 amici può essere un’esperienza da ricordare. Un ottimo trucco è invitare persone con spiccato senso dell’umorismo che rendano le serate spensierate.
Come dicevo, appoggiarsi alle sensazioni corporee rende sempre di più; provate un sabato sera a tenerlo sveglio per l’intera notte e uscite a fare 4 passi all’alba. Scritta sembra banale, ma fatta è un’altra cosa, il vostro corpo si sensibilizzerà particolarmente e tutto quello che farete rimarrà per diverso tempo a testimoniare la vostra relazione. Gli amori si ricordano per i momenti registrati dal corpo, difficilmente dalla mente, la mente registra solo le recriminazioni e le liti e si sa, finito un amore, dopo tanto tempo, rimangono solo i “momenti belli”, quelli che il cuore ha registrato…
…tutta la vita…
intelligenza e creatività per spiazzarlo continuamente, in modo che “lui” non sappia mai fino in fondo chi siete….pur sapendo che ci siete sempre
LE INSIDIE DELLA PAUSA (TRAPPOLA) CAFE’: COME EVITARLE
Ø Pericolo 1: Psicoterapia da bar
Un rischio frequente è trasformarla in una seduta di psicoterapia nella quale raccontare le nostre disgrazie. Spesso ci dimentichiamo che il collega non fa lo psicologo/a, e 9 su 10 ci dà il consiglio che ci potrebbe dare la nonna insieme alla merenda. Ma poco importa, basta che ci ascolti, anzi, basta che ci guardi e faccia dondolare ogni tanto la testa. Pensate onestamente a quanto ascoltate chi si viene a lagnare con voi e di conseguenza immaginatevi quanto potete far felice chi si accolla il vostro malloppo. Purtroppo ognuno di noi pensa sempre di essere specialissimo e che la gente non dorma per sapere che vi succede dentro. Il rischio vero è che si creano aspettative di comprensione che poi vengono puntualmente deluse.
Per evitarla? Provate ad andare a bere il caffè con quei colleghi che pur di continuare a parlare sempre di loro si infilano il caffè nelle orecchie. Vi passerà la voglia di raccontare i fatti vostri perché saprete come ci si sente ad ascoltarli…una pausa deve essere una pausa per tutti i partecipanti, e nelle pause migliori si ride, non ci si lamenta.
Ø Pericolo 2: Oralità della pausa caffè
Nei momenti di stress le persone ricorrono spesso all’oralità, intesa come bisogno di portare alla bocca in modo compulsivo, cibo, café, sigarette, tappi della biro, etc. Se durante il lavoro non è possibile fare ciò, la pausa café diventa il momento in cui ingozzarsi, come per “sostenersi” dal crollo imminente. In realtà si crea un circolo di dipendenza orale che si autoalimenta, poiché dà l’illusione della scarica della tensione lavorativa, ma in realtà (specialmente con café e sigarette) la rimanda aumentandola.
Come evitarla? Provate a fare una pausa con la mente, raccontandovi storielle scema o parlando di cose fatue e lontanissime dall’ambiente lavorativo, è il vero “reset” per la vostra capacità di concentrazione futura.
Ø Pericolo 3: Nascita di relazioni sentimentali
Essendo la pausa un momento di sospensione della concentrazione è ovvio che la disponibilità a intrattenere rapporti emotivamente più gratificanti si fa sentire. Le più grandi bufale sentimentali le si prende proprio sul posto di lavoro, dove l’idea di tornare alle scartoffie fa diventare interessante il rag. Filini dell’ufficio sinistri. Pare che circa il 45% delle relazioni avvengano in ambiente lavorativo e galeotta è la pausa café. Tenendo conto che ogni corteggiamento comporta circa 87 “offerte” di pause café, è consigliabile passare all’orzo o portarsi dietro lo strumento della pressione. Inoltre, come diceva la nonna: “la legna si fa fuori dal bosco”, metafora per dire che se tagli gli alberi nel bosco, prima o poi te ne arriva uno in testa. Ergo: non c’è niente di peggio che rivedersi tutti i giorni se la relazione finisce.
Come evitarla? Semplice: fare tanta legna fuori dal bosco in modo che quando rientrate nel bosco vi viene da rimettere. Chi l’ha capita, l’ha capita.
Ø Pericolo 4: Pettegolezzi e cattiverie
Pausa caffè: quale migliore occasione per scambiarsi qualche confidenza magari maligna?. In genere, la premessa è: “rimanga tra noi” che in realtà significa: “non diciamolo ai marziani”. Infatti, dopo questa premessa in genere ci dicono qualcosa che altri 12 ci hanno detto. Ogni nostro commento allargherà il pettegolezzo, per cui entriamo a pieno titolo nella “storiella”. Chi ti racconta un pettegolezzo mira soprattutto a sapere che posizione prendiamo per poi utilizzarla a piacere. Avrete poi notato le varianti alla stessa storia che l’essere umano riesce ad elaborare; per cui un suggerimento del capo-ufficio diventa dopo “tre passaggi” una pubblica lapidazione.
Nel pettegolezzo, il delatore in genere utilizza due voci: una normale per quello che ha detto lui, una da deficiente per quello che ha detto l’altro. Una volta dentro il pettegolezzo siate pronti a pagarne le conseguenze.
Come evitarli? dichiarare apertamente di non volerli sentire è pericolosissimo, è come dare delle portinaie a tutti e mettersi sul piedistallo. La cosa migliore è ascoltare e dire sempre: “ma no, ma và, ma non ci credo, eppure non sembra”. Così fate vedere che prendete atto dell’informazione, ma vi riservate di crederci per pregressa e falsa stima della “vittima” del pettegolezzo.
Se invece siete voi che non sapete resistere nel raccontare pettegolezzi, cominciate a chiedervi perché vi sentite così tanto inferiori dal dover attaccare qualcun altro.
Ø Pericolo 5: Progetti, inviti, Public Relation
Mai come durante la pausa cafè ci si impegna in cene, inviti e progetti per il fine settimana. Naturalmente il Venerdì si disdice tutto trovando mille scuse. Questo è l’effetto “muovere la lingua non costa niente” tipico di quando uno si rilassa. Il cervello subisce un corto circuito per cui non ci si ricorda che dire di fare una cosa è diverso che farla. E’ un po’ come, se nel momento che la si dice la si stesse già facendo con la mente, per cui una cena insieme non è fatta più di andare a fare la spesa e cucinare, ma si sedersi, mangiare e buttare le stoviglie dalla finestra.
Come evitarlo? Prima di dire cosa si potrebbe fare, pensate di attivarvi all’istante per farlo. Es. se organizzate una cena a casa vostra, pensate di utilizzare la pausa café per scendere all’edicola a prendere un libro di cucina. Sentirete tutta la vostra voglia sparire e emergere un pensierino del tipo: “beh, casomai li invito il giorno stesso”.
TRADIMENTO
Diciamocelo: anche Giuda a modo suo ha movimentato un po’ la storia. Ora, non è che se non si tradisce ci si addormenta, ma qualcuno in coma l’hanno trovato. L’uomo più romantico del mondo alla centesima rosa diventa un fioraio; mangia per sempre e solo il tuo cibo preferito e rivaluterai il sapore del tovagliolo; sposati George Clooney tutti i giorni e alla millesima volta chiederai di Martin Feldmann; ascolta 12.000 volte la tua canzone preferita e scoprirai i vantaggi dell’abitare al 17esimo piano. Questo per dire che ci adattiamo alle “cose”. Non è perché siamo capricciosi, ma è una precisa funzione fisiologica. I nostri organi di senso rilevano i cambiamenti, non la presenza costante e il cervello pure. Se uno sostituisse le orecchie con due cotolette dopo un mese non sentirebbe più nemmeno l’odore.
La parola “tradimento” viene letta sempre in negativo, ma altro non è che la naturale propensione al cambiamento. Se guardiamo al mondo animale, e non parliamo solo del maiale spesso tirato in causa ingiustamente, ben poche specie rimangono fedeli e quasi sempre c’è una convenienza legata alla sopravvivenza della specie stessa.
Purtroppo come esseri umani abbiamo l’aggravante della ragione e della morale, quindi ci tocca predicare bene e razzolare male, una faticaccia. Dichiarare che si sarà fedeli per sempre suona u un pò come una minaccia, ma è tanto bello sentirselo dire e illudersi che sia così, ed è bello anche dirlo. Diventa più difficile farlo quando il partner è a 1000 km di distanza, i cellulari non prendono bene e George Clooney ti suona alla porta per lo zucchero. Se poi ci si mette anche l’estate, il sole, l’abbronzatura, la musica, la ciuca, le 4 di notte, ecc… dire di no sembra scortese.
In fondo siamo da sempre “traditori” anche di noi stessi; chi non ha mai tradito se stesso/a almeno una volta lanci la prima piastrella; si può affermare di essere sempre stati coerenti?, di non aver mai tradito il proprio pensiero almeno una volta? Se non l’avete mai fatto complimenti per il marmo.
Quindi arrendiamoci, il tradimento ci appartiene. Ma siccome l’essere umano è bravo a complicare ciò che è naturale, bisogna fare i conti con i nostri sensi di colpa, l’empatia per chi può soffrirne, la difficoltà ad accettare che possiamo amare una persona, le tasse. Quindi, in breve, tradire può far male o bene.
Fa bene
– Quando rigenera il cuore. Come si diceva, la persona più bella e interessante del mondo dopo anni diventa prevedibile al nostro cuore che chiede emozioni nuove, generate solo dal mistero di una nuova conoscenza. Bisogna però essere consapevoli del fatto che le emozioni che ci può dare una persona nuova sono un po’ “tarocche” nel senso che vivono proprio del non conoscere. E’ ovvio che la novità in un primo momento vince sempre sul “conosciuto”, poiché sul “nuovo” possiamo proiettare tutte le nostre aspettative o sogni.
– Quando si ha bisogno di capire (sarebbe meglio “sentire”) a che punto è giunta la nostra relazione ufficiale. Spesso si mantiene un rapporto per le ragioni più strane (tipo: “cosa farà senza di me” piuttosto che “cosa farò senza di lui”). Il tradimento (attenzione: passato il primo momento di entusiasmo) fa emergere il vero valore della nostra relazione.
– Quando con la persona “nuova” avviene uno scambio che arricchisce. Immaginatevi che oltre a voi, al mondo esista solo un’altra persona: il vostro salumiere. Per quanto possa essere pieno di risorse e prosciutti, non potrà colmare l’universo che è in voi. Non a caso abbiamo persone con cui parliamo bene di certe cose, altre con cui ridiamo bene, ecc.
– Quando si torna a casa e guardando il proprio partner ci si rende conto che serviva proprio una “scappatella” per accorgervi che volete ancora lui/lei. Ed è una scelta!
– Quando non ci si sente più. Solo allora una “scappatella” può essere un’esperienza collocata nel giusto posto: una vacanza del cuore (e non solo).
– Quando si accetta che si può desiderare una persona solo da un punto di vista fisico senza per forza implicare il cuore. A volte si tende ad auto-convincersi che la persona ci piace globalmente, quando magari, levato il sesso, è come parlare con una pianta di gerani.
Fa male
– Quando si tradisce per ripicca. E’ vero che qualcuno sostiene che il miglior perdono è la vendetta, ma qui si tratta di sottomettere il nostro corpo e i nostri sentimenti agli ordini della mente che chiede giustizia!. Lascia l’amaro in bocca e non salva il rapporto.
– Quando ci si sbilancia oltremodo con le parole. Poiché poi, per non entrare in contraddizione con noi stessi siamo “costretti” a credere a ciò che abbiamo detto da ubriachi e comincia la tiritera: “che confusione, che succede? Boh…mah…beh…etc.”.
– Quando dalla semplice “scappatella” si passa a tenere in piedi due relazioni. Non è certo un problema di morale, né di fatica (anche se pare che tal cosa provochi livelli di stress da lingua penzoloni); il vero problema è la propria autostima. Non saper scegliere può spesso significare non avere la capacità di abbandonare, la quale a sua volta sottintende l’incapacità di reggersi sulle proprie gambe.
– Quando non si ha rispetto per il partner tradito. Ciò significa che i “peccati” se bisogna farli, bisogna farli bene, è un segno di rispetto verso il partner. Quindi evitare di lasciare segnali tipo sms non cancellati, o calzini nelle sacocce. Non c’è niente che faccia star male come essere beccati con le mani nella marmellata.
– Quando si sente l’esigenza di raccontarlo. Le parole possono descrivere le emozioni, ma sono un’altra cosa. Provate a raccontare a tutti un’emozione che avete provato, alla lunga la svuotate e rimangono solo “versioni” noiose. Insomma vi bruciate il ricordo.
– Quando la scappatella ha come sottofondo: “cosa sto facendo?, povero Luigi!”. A parte che si crea un clima d’allegria tipo: “stiamo rapinando la banca e prendendo in ostaggio Heidi” e la cosa non aiuta nemmeno da un punto di vista sessuale (con le dovute eccezioni). Inoltre porta al classico dilemma post-scappatella: “glielo dico o non glielo dico?”.
– Quando si decide di confessare. A chi serve? molti pensano: “dopo apprezzerà la mia onestà e starà meno male”. A parte che l’altro pensa: “onestà per onestà, potevi dirmelo la sera prima?”, ma poi, siamo sicuri che starà meno male che a non saperlo?. E’ meglio farsi un esametto di coscienza (come dicevano i nonni) e magari scoprire che in realtà dirlo serve solo a noi stessi quando non siamo in grado di perdonarci in quanto esseri umani dalla carne debole…(come ha detto qualcun altro di cui non mi sovviene il nome).
Concludendo e riprendendo il tema del bisogno del cambiamento e del piacere (un po’ masochistico) del rimpianto che spesso ci accompagna, ricorderei una frase di Federico Fellini, che può essere una bellissima metafora di questo bisogno, mi scuso se le parole non sono proprio le stesse, ma spero di rendere il concetto: “Abito in questa parte della città, ma in verità amo un’altra zona di Roma. Non ci vado ad abitare, ma ci vado di tanto in tanto, se abitassi lì non sarebbe più la stessa emozione”.
LAVORI DI CASA (intervista al sottoscritto)
1) Perché gli uomini quando vivono da soli non si lamentano di fare “lavori da donna” e quando invece si sposano tendono a delegare a lei (si.. siedono)?
Innanzi tutto la prima regola del lamentoso professionista è trovare qualcuno a cui scassare i timpani, e i muri purtroppo non li hanno. Secondariamente, una volta sposato o convivente, passato il primo periodo (due ore) nel quale si mette le pattine anche per farsi la doccia (che poi non farà più inventando un’allergia al sapone neutro) i neuroni del cervello si incrociano e gli fanno sfornare l’equazione: donna + presenza = mamma, diventa quindi imprescindibile il pensiero: “oh, mi ha fatto lei e adesso mi accudisce”. In terzo luogo il maschietto solitario evoluto può scoprire la sua parte femminile senza pensare: “ecco, ho fatto il bucato, sono omosessuale” e accogliere in sé il piacere di disporre della sua casetta, che diventa un po’ il suo “Io”.
2) Per una donna fare i lavori in casa è mortificante, per un uomo spesso no. Come mai?
Solo per alcune donne è mortificante, per altre diventa il loro punto d’orgoglio e se entri in cucina senza permesso ti ritrovi il piede in una tagliola per cinghiali. Codeste si realizzano tra le mura domestiche e sbrigare le faccende di casa è un modo per dire ai familiari: “guardate, questo è quello che faccio per voi, per essere amata” in genere i maschietti pensano: “scusa, ma per essere amata non è meglio metterti in Guepiere?” insomma, non capiscono. Per altre donne i lavori domestici sono una maledizione, il manifesto del loro fallimento lavorativo. Per altre, realizzate lavorativamente, diventa un “gioco”da fare ogni tanto, ma non tanto e poco ogni.
Per i maschietti la faccenduola è differente, se lavorativamente sono sufficientemente appagati, fare i lavori domestici diventa eseguire un lavoro senza carabine di capoufficio puntate, o un modo per entrare in competizione con la partner, infatti di preferenza cercano di conquistare la cucina buttando avanti il gatto per evitare eventuali tagliole. Inoltre, una femminuccia sbriga le faccende domestiche senza vantarsi, mentre per un maschietto una camicia stirata diventa un’opera d’arte da condividere con il vicinato.
3) Andiamo verso un ribaltamento dei ruoli?
Più che ribaltare i ruoli stiamo ribaltando le identità.. Mi spiego: alcune femminucce hanno fatto proprio il modello maschile, e sono passate da far la calzetta a produrle. I maschietti, stanchi di fare “Rambo” cominciano ad assaporare l’identità del “mammo”. Entrambi contravvengono alle ragioni della natura. Solo poche fortunate sono riuscite a realizzarsi lavorativamente rimanendo fedeli alle loro caratteristiche “femminili” e solo pochi fortunati sono riusciti a lasciare la rigidità del modello maschile senza perderne i punti di forza. In sintesi, si cambino pure i ruoli, ma senza perdere la propria identità che è collegata al nostro benessere più profondo, se no corriamo il rischio di andare verso la felicità celebrale e l’infelicità emozionale.
SVILUPPA IL TUO SENSO DELL’UMORISMO IN 5 MOSSE
UTILIZZA IRONIA E UMORISMO.
L’umorismo è il contrario dell’ironia. Facendo ironia si annuncia ciò che dovrebbe essere, fingendo di credere che è precisamente quello che è. Esempio: “ed ecco che arriva Paolo con i suoi modi garbati, la finezza che lo contraddistingue e la sua celeberrima discrezione” (mentre Paolo arriva con un braccio fuori dal finestrino mentre nevica, sputando una cicca, stereo a palla, vestito da gioppino). Utilizzando l’umorismo, invece, si descriverà scrupolosamente quello che è, dando a credere che è proprio così che le cose dovrebbero essere. Esempio: “ Guada! arriva Paolo, Dio, che classe, come sputa la cicca dal finestrino…e come sta bene con la maglietta bucata mentre nevica, lui sì che sa sgommare da vero uomo”. Quindi, esercitatevi con i commenti, ma attenzione al sarcasmo (fare battute denigratorie sulla persona in modo apertamente aggressivo).
SVILUPPA UN “CARATTERE” COMICO
Costruirsi un “carattere” comico significa in parole spicciole “recitare una parte”. Avete mai notato che amici sbadati o troppo rigidi nelle loro idee diventano spesso simpatici? Pensate a una ragazza sbadata che sale su una macchina di uno sconosciuto pensando sia quella del fidanzato che aspettava o che mette il cellulare in frigo. Questo meccanismo universale fu chiamato “l’insociabilità del comico” da Bergson (“il riso”, da comperare). Secondo tale principio, qualsiasi comportamento (inconsapevole) che non rientra nelle “regole” della socialità susciterebbe una risata negli altri che avrebbe la funzione di “richiamare” la persona alle convenzioni sociali. Sappiate che le persone che mettono in atto tale carattere sanno sotto sotto l’effetto che ottengono. Si può quindi far finta di essere distratte, piuttosto che smemorate, dietrologiste all’estremo, pignolissime o indecisissime. I comici di professione conoscono bene questa regola.
CREATI UN REPERTORIO
In un famoso studio condotto con studenti universitari, si evidenziò che le persone che “fanno ridere”, hanno una memoria da elefanti. Questo gli serve per crearsi un “repertorio” di risposte e battute nelle situazioni più disparate. Se vi capitasse di frequentare comici professionisti per 24 ore al giorno scoprireste che in fondo non fanno che ripetere un repertorio più ampio; le stesse battute le fanno con persone diverse, il loro trucco è la naturalezza, che la fa sembrare inventata sul momento. L’intuizione improvvisa arriva ogni tanto, il 90% è repertorio personale. Quindi, annotatevi su un quadernetto tutte le espressioni o battute che vi fanno divertire, all’inizio farete un po’ di fatica a scriverle, ma poi vi accorgerete di averle memorizzate senza fatica e sperimentarle vi farà capire il tempo comico con cui dirle.
IMPARA AD USARE L’AUTO-IRONIA
Avner Ziv (psicologo all’Università di Tel Aviv) sosteneva che ridere di sé stessi presenta dei vantaggi: affrontare positivamente il timore detestato del proprio difetto; allontanare l’aggressività degli altri; conquistare la stima degli altri. Attenzione: utilizzare auto-ironia non vuol dire denigrarsi o farsi piccoli, ma saper elegantemente comunicare la capacità di saper sorridere di un proprio difetto di cui si è consapevoli. Per esempio, una ragazza con un seno molto abbondante potrebbe dire: “non capisco come mai mi viene da cadere in avanti, dicono tutti che sono piatta”.
IMPARARE A SDRAMMATIZZARE
E’ provatissimo che il riso sia un’ottima difesa dall’ansia; da quella di tipo sessuale (ansia da prestazione, ecc.), all’ansia dovuta a una prestazione scolastica. Sarà capitato a chiunque di trovarsi in una situazione difficile (es. un’esame) e verificare come da una tensione che si taglia con un coltello, si possa passare alla “rottura” di una risata di gruppo che di colpa ridimensiona il problema. Il “trucco” è proprio questo: esercitatevi a guardare le catastrofi più drammatiche da altri punti di vista, non fossilizzatevi solo su quello che appare. Non è un caso che subito dopo ogni tragedia circolano immediatamente battute e barzellette sul caso. Non è cinismo, ma è una grande risorsa di sopravvivenza per l’essere umano fin dai tempi più antichi. Poiché, come diceva
Friedrich Nietzsche: “E’ inutile prendere troppo sul serio la vita…tanto non se ne esce vivi….”
LE DONNE CHE PIACCIONO ALLE DONNE
L’ironia è un dono di poche?
Sarebbe meglio dire che l’auto-ironia è un dono di poche (e di pochi). Per usarla bisogna avere una buona autostima, quella che permette di prendersi in giro senza sentirsi male. La gente ama le persone che mostrano le proprie debolezze, se ci sanno ridere sopra diventano ironiche, se non ne sono capaci, purtroppo patetiche.
Ma ci sono (simpatiche, ironiche, vere) o ci fanno?
Ci sono, ci sono, ma come i comici hanno imparato a usare la “sfiga”, sono belle, ma si comportano come se non lo fossero, accettano veramente di farsi prendere in giro e ci ridono, quelle che fingono si vedono subito. Una volta “accettate”dal pubblico possono a loro volta colpire qualcuno.
Perchè è facile piacere di più quando si è brutte?
L’identificazione gioca un grande ruolo, pensiamo a Sconsolata, in fondo che personaggio recitava a Zelig? La sfigata che finge di non esserlo, grande maestra fu la Mazzamauro (la Signorina Silvani in Fantozzi).
E perché una bella e simpatica fa tanto effetto?
E’ un fenomeno televisivo abbastanza nuovo, la bella che fa ridere è la bella che si umanizza e che ha quindi gli stessi problemi delle “mortali”.
Le donne perdono obiettività quando giudicano le altre donne?
Non è facile trovare una donna (o un uomo) che parli bene di una tua ex…Questo esemplifica. E’ il meccanismo più usato per alzare la propria autostima: abbassare quella degli altri (delle altre in questo caso, ma è uguale per i maschietti). Naturalmente c’è chi può permettersi di non esercitare questo sport perché già “ricca” di suo.
Le donne guardano le altre donne più di quanto gli uomini guardino gli
altri uomini: per invidia, per confrontarsi, per imitarle…?
Qui ci sono ragioni addirittura antropologiche e evoluzionistiche, ma più semplicemente i due sessi guardano cose diverse per sapere la stessa cosa: quanto vale o quanto temono un altro gallo (o gallina) nel pollaio. A volte si migliora guardando gli altri galli o le altre galline e li si stima, ma in ultima analisi si raccoglie materiale, perché a nessuno piace molto essere l’ultimo/a dell’aia.
Ma le donne che piacciono alle donne, piacciono anche agli uomini?
(se sì perché, se no perchè)
Quando una nostra conoscente ci dice: “ti presento una mia amica eccezionale” in genere ci spaventiamo. Spesso non abbiamo gli stessi gusti. Una donna che piace a un’altra donna ha molte qualità (e nello stesso tempo per alcune non è temibile), ma non sono così sicuro che siamo già arrivati al tempo in cui i maschietti riescano a esprimere pienamente il loro ruolo cultural-biologico (ma ormai buffo) con una donna, in fondo, dominante anche nella forma (nella sostanza è sempre stato).
Perché c’è questo mito duro a morire (un po’ come quello della bionda stupida)?
Pensiamo se partissimo con l’equazione contraria: bella = intelligente; brutta = stupida. No, troppa depressione, meglio il contrario. Una volta c’era una credenza (anche vera per certi versi) secondo la quale, la bella (il bello) non doveva fare fatica a conquistarsi un posto nel mondo per farsi amare e apprezzare. Ora si deve sbattere anche la bella.
Che cos’hanno in più delle altre? (penso, per es.a Michelle Hunziker, Vanessa Incontrada, Alessia Marcuzzi)
Hanno imparato a scendere dall’Olimpo e a mischiarsi tra la gente, è come se la Madonna ce la trovassimo in cucina a fare la pizza.
gestirla.
“PERCHE’ LE STORIE INIZIATE IN ESTATE DURANO DI PIU?'”
1) L’abbronzatura rende tutti più interessanti ( cosa che non succede alle persone di colore quando sbiancano, stranamente) e misteriosi. L’amore più coinvolgente è quello che non si fa conoscere. Se si mantiene una parte di mistero è sicuro che l’interesse permane e nulla è più misterioso delle notti d’estate in vacanza.
2) D’estate si trova spesso musica diffusa, se abbiamo una relazione, la musica si insinua come colonna sonora del nostro amore, solo tornando a casa ci si accorge per caso che esiste una “nostra canzone” evocando struggimenti e processioni con la sua foto in mano. I cantautori sono responsabili del 90% dei matrimoni; i comici delle separazioni, poiché svelano il retroscena del romanticismo.
3) D’estate fa caldo, la pressione scende e arriva meno ossigeno al cervello, ed un ragno diventa Brad Pitt. Scherzi a parte, il caldo ha veramente il potere di rallentare la nostra capacità critica, l’esame di realtà è in bilico e può crearsi un “imprinting” che ci porta a investire per lungo tempo sull’immagine che ci siamo fatti del partner.
4) D’estate, non lavorando, sì è più tolleranti, il bambino che giocando ti tira la sabbia negli occhi e ti strappa un sorriso è lo stesso che d’inverno lapideresti perché si è appoggiato alla macchina. La persona tollerante è la persona da sposare, poi magari, capita di dire: “l’ho conosciuto questa estate ed era un’altra persona” (rigargli la macchina anche d’estate è comunque un buon test).
5) In vacanza, soprattutto gli uomini, sono economicamente più brillanti. L’uomo generoso colpisce nel profondo, poiché fa partire l’equazione: generoso col portafogli = generoso di cuore. Ah, ah, ah.
6) con la bella stagione siamo più propensi ad essere noi stessi, stanchi dopo un anno di “finzioni” e ruoli. Al mare o in montagna è più facile iniziare una convivenza a lunga scadenza, perché concentriamo tutte le energie, presi dall’entusiasmo di
un nuovo amore e dell’estate.
7) In vacanza, più o meno non ci conosce nessuno, osiamo dire e fare cose che se filmate potrebbero essere oggetto di ricatto. Chi più rischia, più pesca, e pescando tanto è più facile trovare una perla.
8) Essere circondato da altre persone non stressate dal lavoro crea una atmosfera contagiosa, è un po’ come sotto Natale, solo che invece che essere più buoni sono tutti più disponibili ad amoreggiare e quando l’essere umano amoreggia, fa sempre grandi progetti per il futuro.
In buona sostanza, quando facciamo sempre i soliti percorsi e le stesse cose i nostri organi percettivi sono assopiti, ma ecco che quando cambia il paesaggio, il ritmo, il nostro io è disorientato, ma nello stesso tempo più ricettivo alle novità. Una persona nuova in un luogo diverso è l’alchimia che porta un vento nuovo nel nostro cuore e ci fa immaginare una nuova vita. Abbiamo una tendenza biologica al cambiamento, quando abbiamo costruito certezze, abbiamo bisogno di ristrutturare tutto, poiché se il cuore batte sempre allo stesso ritmo dopo un po’ non lo senti più e la vacanza è la promessa di un altro ritmo…
“COME PASSARE LE VACANZE A CASA?”
ORE 8:
Innanzi tutto è bene fissare una data sul calendario ben visibile, un colpo di scure va bene, che stia a significare: “da qui in poi sono andata, partita da me stessa”. Il senso dovrebbe essere: “senza fare sforzi, faccio quello che non faccio mai, tranne farmi arrestare”. Quindi, se di solito mettete la sveglia alle 6, la sera prima la prendete in mano e vi addormentate facendole una pernacchia.Per chi ha il sonno agitato può considerare la vacanza come periodo nel quale esce l’artista, approfittando delle tenebre per lasciare a un libro o a una tela le proprie inquietudini (va bene anche scrivere canzoni, ritagliare le tende, tosare il cane.Per chi alle 7 è già sveglia si suggerisce di fare colazione inventandosi qualche rito che sarà utilizzato solo durante la vacanza.Le vacanze che si ricordano sono quelle dove ci si è veramente svagati.
ORE 9:
Spesso, durante l’anno, ci si accorge del proprio corpo solo quando si sbattono i mignoli sugli spigoli. Alcune persone aspettano le vacanze per riattivarlo a mò di interruttore (che è come iscrivere la Levi Montalcini a una gara coi sacchi). Il corpo è uno strumento che se lasciato fermo va prima spolverato, accordato e poi suonato, e, se è pur vero che gli strumenti non si suonano bene da soli (ehmm…), si può comunque renderli leggeri per farli entrare nell’orchestra dell’universo (mi si passi la metafora da ubriaco). L’armonia del corpo ha come punto focale il bacino, che collega la “messa a terra” e quindi il principio di realtà, con la parte che più può allontanarsi da essa, che è la mente. Indi per cui, non sarebbe un sacrilegio cercarsi una musica sensuale e muoversi per la casa ondeggiando leggermente a tempo di Bossa brasiliana, (se avete problemi chiamatemi pure che vengo a controllare se va bene, ehm…). Chi non ha un CD di Antonio Carlos Jobim è come se non avesse mai visto il mare. Per il resto va bene tutto se è in linea con la metafora di cui sopra (sentirsi strumento dell’universo), per cui dalla piscina senza i Tarazzi che ti saltano sulla testa, alla passeggiata nella città deserta in bicicletta.
ORE 11:
“Ognuno ha il suo tamburo, un solo ritmo un canto, nella comune solitudine…” diceva una bellissima canzone. Non c’è bisogno di partire per ritrovarlo, anzi, spesso nel frastuono di Rimini è difficile trovarlo. Solo annullando il tempo si fa sentire, bisogna un po’ perdersi la mente e farsi guidare dalla pancia. Provate solo camminando a rilassarla e sentire che strada prende, vi accorgerete che sarà diversa da quella che prende la mente, e avrà un ritmo che sa di antico e caldo, vi sentirete un po’ più selvaggi, ma non se ne accorgerà nessuno se non salirete sui pali della luce a sbucciar banane. Girate per i mercatini ricominciando a sentirne il profumo, seguendo un percorso più olfattivo che razionale. Anche per quanto riguarda il commestibile, entrate al supermercato come se vi portaste dietro una bambina che tra tante cose dice: “voglio quella”, qualsiasi cosa sia comprategliela (se sceglie gli infissi degli scaffali magari tergiversate).
ORE 13:
Se siete sole ed avete un giardino o un terrazzo mangiare all’aria aperta può favorire l’invidia dei vicini e quindi migliorare la digestione. Scherzi a parte (ma mica tanto), non in nome delle diete, ma per assaporare la leggerezza del “bastarvi”, suggerirei di evitare le abbuffate, favorendo una sorta di “giusto nutrimento”, che non vada oltre il necessario. Vacanza è nutrirsi con gli occhi, con un sorriso di qualcuno che vi piace, ascoltando silenzi e non frastuoni, mettere in casa l’essenza che preferite.
ORE 14:
Anche davanti al paesaggio più bello si può restare indifferenti e, al contrario, emozionarsi davanti al deposito dell’immondizia, Salgari insegna. Quindi, poiché i sogni non li hanno ancora tassati, il pisolino pomeridiano dovrebbe essere un momento per immaginare il proprio “film” preferito. Possibilmente quando vi svegliate rientrate nella realtà che dall’angolazione giusta è sempre più bella di qualunque film poiché coinvolge i sensi reali.Per chi non riesce a dormire, il primo pomeriggio può diventare un momento del relax, nel quale si va a vedere come spettatore le opere che il proprio artista insonne ha donato al mondo o giocarsi una punta di megalomania auto-dichiarandosi: “bene artistico dell’umanità”.
ORE 16:
Bisogna stare attenti a non scambiare la vacanza, come il recupero di tutte le cose che non si è avuto il tempo di fare. Spesso, in questo modo, si rientra nella logica del “fare” nell’unità di tempo. Sarebbe forse più consono avvicinarsi a qualcosa di non finalizzato, che abbia lo scopo di “staccare” veramente, per poi non ricordare la vacanza come la lista delle cose fatte, ma come uno “svenimento” di 15 giorni in cui si è ritornati alla parte più vera di se. Paradossalmente la maggior parte delle vacanze nei luoghi di villeggiatura super-affollati (in agosto l’80%) sono diventate la continuazione del “tran tran” annuale. Per ritrovarsi ci vuole una pausa, non dico catatonica, ma quanto meno depurativa.
ORE 21:
E dopo una bella giornata a coltivar se stesse è ora di portare quel fiore che siete al mercato ( possibilmente non per venderlo, ehm…), per farlo ammirare. Si può incontrare un’amica o un uomo con stili comportamentali differenti, che vanno dal modello ”allampanata”, che ti saluta pensando altre 100 cose, al modello “convenzionale”, che ogni volta che ti vede ti saluta come se l’avessi appena tirata fuori da un burrone, al modello “simpaticona” che deve stare sempre su, ma che come gira l’angolo si impicca, o al modello “lamentosa” che come gli racconti una disgrazia te ne racconta altre tre moltiplicando le ambulanze accorse, etc. Tutti questi modi hanno in comune una “maschera” che spesso inconsapevolmente, la persona si è costruita pensando di non riuscire a sopravvivere senza. Purtroppo questa convinzione è una bufala, almeno nel presente di una persona adulta e libera. Spesso si tratta solo di fermarsi un po’, di vedere che se anche non si zampetta per 24 ore al giorno, non succede niente. Tornando all’esempio dello strumento, se durante il giorno lo avete oliato e coccolato, vi accorgerete che approcciare l’universo (di cui anche gli altri umani fanno parte) in modo armonico, coinvolge una sensibilità e quindi un sentire che non è così facile ottenere stando a Ibiza rincorrendosi per le discoteche con le mutande in mano.La vacanza a casa dovrebbe essere un momento veramente meditativo per la nostra vita, che ci ricolloca nel suo senso, interrompendo la frenesia del nostro tempo che la fa diventare ogni giorno uguale a se stessa.
Dimenticavo, non sarebbe male fin dal primo giorno di questa vacanza appiccicare sulla porta di casa un bel cartello che ricordi l’ingrediente principale per un vacanza del genere, qualcosa del tipo: “Senza ironia non si può andare in vacanza veramente”, perché come dice Friedrich Nietzsche : “E’ inutile prendere la vita troppo sul serio…tanto non se ne esce vivi”.
“COME DIMENTICARLO?”
…come AIUTO. Parlarne con un amica/o che non abbia un “conflitto di interessi” (invidia o gelosia) è dare espressione a un dolore che rimane altrimenti sordo. I veri amici non interrompono chi si lamenta e diciamocelo, lamentarsi (oltre le 4 volte diventa una perdita di vita) è un vero piacere.
…come BENSERVITO . Te l’ha dato. Che ti abbia lasciato perché eri troppo speciale per lui, perché la mamma da piccolo non l’ha allattato, o perché come dice Elio: “il ginocchio gli ha fatto contatto col gomito” , non ha importanza. L’unica cosa che conta è che, per inadeguato che fosse, il coraggio di mollarti l’ha trovato. Bando allora ai “Sì, però se l’ha fatto è perché poverino…”. Lui la cura per il suo ipotetico disagio l’ha trovata: lasciarti. Punto. E, vivaddio per te , a capo!
…come COLPA . Smetti di addossarti tutte le colpe sul percome e perché è finita. I lasciati indugiano spesso nell’auto – condanna , così, oltre all’abbandono subìto si ritrovano anche con un’ immagine di sé che fa acqua da tutte le parti. Dice il saggio: “ Invece di investire ogni energia nel persuadere del tuo valore l’uomo a cui non piaci, perché non guardi altrove?”. Iscriversi a un corso di autostima è una buona alternativa all’auto-fustigazione.
…come DIFETTI . I suoi, ovvio. Se l’occhio cieco dell’amore ti impediva una visione oggettiva, adesso concediti il lusso dell’obiettività. Scrivili come la lista della spesa e pensa che con l’arteriosclerosi peggiorano, dopodiché chiediti se era veramente ciò che volevi.
…come ELEGANZA. Dargli anche il gusto di vederti perdere la dignità chiamandolo e chiedendogli di spiegare ciò che neanche una TAC potrebbe è inutile. Incassare con eleganza lo farà sentire più piccolo.
… come FINIRA’. Il dolore che ti ha inflitto lasciandoti è l’ultimo anello che ti lega a lui e ti guardi bene dal scioglierlo, eppure, che ci piaccia o no, le emozioni hanno vita limitata, come le bollicine della Coca Cola. E anche lo strazio finirà. Aiutati così: inabissati nella disperazione e ogni giorno descrivila senza censure e poi rileggi a voce alta. Finchè una mattina ti accorgerai che le parole sono finite, come le lacrime, e scrivendo sbadiglierai, ti distrarrai, sorriderai. Di te, di lui e del tuo…ex-dolore.
…come GENUFLESSIONE. Se proprio non riesci a dimenticarlo c’è una strategia paradossale utilizzata in alcune Psicoterapie. Procurati una sua foto e un lumicino, trova un posto della casa che puoi vedere solo tu. Costruisci un’Altarino e ogni mattina e ogni sera inginocchiati davanti a lui come sua devota. Pregalo e cantagli una messa. Sembra uno scherzo, ma non lo è. Serve a rendere visibili a se stesse la parte dipendente, a volte capita che dopo po’ si scoppi a ridere di sé e questo vuol dire che in noi comincia ad esserci una persona che soffre e una che osserva. E’ il primo passo verso la guarigione.
…come HIT-PARADE. Stila una classifica di 5 uomini che conosci e che ti piacciono, mettendolo in cima alla lista. Frequenta gli altri lanciando ami. Se qualcuno abbocca prova un po’ a guardare come va la classifica.
…come ISTANTE. Ancorati al presente. C’è un gioco semplice da fare: immaginati che hai ancora una settimana di vita e chiediti se la passeresti a piangere per lui o per te.
… come JUKEBOX. Quando si ama una persona gli altri non esistono. E’ come se si mettesse sempre lo stesso disco, per cambiare bisogna sforzarsi di sentire un disco sconosciuto per qualche volta. La canzone preferita si lascia quando un’altra piano piano prende il suo posto. Certo che se ci si mette i tappi nelle orecchie è dura…
…..come KAMASUTRA. Immaginati che ti abbia lasciata per sperimentare il Kamasutra con il suo commercialista. Un po’ di fascino lo perderà sicuro.
come LEGGEREZZA. La fine delle cose ci fa sentire un peso che si avverte quasi fisicamente. Il corpo è il nostro padrone, se gli diamo occasione di esprimere la sua leggerezza ce la restituirà in termini psichici. Una danza piuttosto che una nuotata in piscina a mò di paperella, può permette al corpo di esprimere il suo dolore con il suo codice e restituirci leggerezza.
…come MALATTIA. Quando si sta male per amore sembra che il mondo giri intorno a noi. Molte persone che hanno subito un grande dolore trovano un senso nell’avvicinarsi ad altre persone che soffrono anche fisicamente. Fare qualche giorno di volontariato andando a trovare chi è meno fortunato può aiutare a ridimensionare il problema.
…NOSTALGIA : in questa prima fase , a meno che tu non sia un’artista ( in quel caso somministratela alla grande, così ci scappa il capolavoro!) dosala con cura. Quando arriva prendila, ma non cercarla . Poi, quando soffrirai meno, potrai concedertela, e il ricordo sarà dolce
…come ONESTA’. Spesso alcune persone, per paura di ferire o di essere accusate di crudeltà, senza accorgersene, fanno di tutto per essere lasciate, evitando così ogni responsabilità. Chiediti se è il caso tuo e se lo fosse ammetterlo a te stessa è un atto di maturità che ti servirà a conoscere quello che vuoi (o che non vuoi).
…come PROFUMO. Compera un profumo da uomo. Il più sgradevole che esiste, guarda una sua foto e annusalo, associando i due stimoli sensoriali. Può capitare che butti foto e profumo (che costi poco, ovvio).
…come QUADERNO. Prendine uno e scrivi quello che provi, ogni volta che scrivi qualcosa, rileggi ciò che hai scritto la volta prima. Vedrai la trasformazione del dolore, che rimarrà su quelle pagine.
…come RIVALE. Ti ha lasciata per un’altra? Ti consoli pensare che ciò che ha fatto mancare a te, alla lunga lo farà mancare anche all’altra, poiché non è così semplice cambiare. In pratica è come se avessi ceduto il mutuo.
…come SALVARE. Ci siamo evoluti con una funzione di sopravvivenza abbastanza curiosa. Ricordiamo del passato solo le cose piacevoli. Spesso immaginarsi di chiudere un file o un capitolo della nostra vita con un tono positivo e malinconico ci aiuta a collocarlo nella sfera dei ricordi. In fondo siamo ciò che siamo grazie alle esperienze che abbiamo fatto. Chiudere una storia concentrandosi solo sul negativo lascia un senso di rottura interiore. Chiudere una storia salvando anche il positivo fa sì che la storia si chiuda veramente.
…come TERRA. Stenditi a terra da sola, nella tua stanza e senti il contatto fisico con la madre terra. E’ l’unica che ti può dare il vero sostegno per affrontare tutte le intemperie della vita.
come…UMORISMO. Pensa che hai avuto un bel senso dell’umorismo a metterti con lui…che con te centrava come le cozze con la Nutella…
come…VELA. “E’ una vela la mia mente, prua verso l’altra gente…” come diceva una canzone, sei ancora sulla tua barca e basta spostare la prua verso il resto del mondo (ti rimangono da conoscere qualcosa come 2.987.586.294 uomini, datti una mossa)
… Celebrare un bel rito buttando una sua foto stracciata nel water può essere veramente liberatorio e prima o poi dovrai tirare la catenella.
Per chi corre troppo: “…ho perso il treno, ma a piedi che paesaggio..” di Fabrizio Canciani & Renato Trinca
NON ERO CONTENTO DI ME STESSO, STRANO, eppure era tutto sotto controllo, in macchina riuscivo a comporre SMS tenendo il volante con l’ombrello, svoltare a sinistra in bocca a un vigile, parlare con un operatore Telecom in meno di 25 minuti, cambiare marcia e musica 114 volte, imprecare in Genovese (cosa eccezionale, essendo di Taranto).
STRANO, EPPURE ANCHE NEL SETTORE LAVORO le cose andavano. Certo, fare il rappresentante di spazzolotti per il bagno non è il massimo, ma mio padre era sempre stato orgoglioso, continuavo la tradizione (lui vendeva sanitari). Mia madre avrebbe voluto che facessi il panettiere, ma l’ebbe vinta mio padre sostenendo che in fondo i due lavori erano complementari (io avrei voluto fare il grafico pubblicitario).
STRANO, EPPURE ANCHE IL SETTORE VACANZE ERA FUNZIONALE. L’ultima volta nel villaggio in Tunisia avevo tutto: risveglio muscolare, tiro con l’arco, aquagin, gioco aperitivo, gioco pranzo, gioco caffè, torneo di bocce con le tazzine, beach volley con gli animatori (qualcuno l’avrei fatto volare volentieri). Eppure non ero contento neanche in vacanza, perché? forse l’avevo pagata troppo rispetto al budget preventivato per la stagione 2001/2002?, perché quel giorno rimasi 6 ore davanti al molo a fissare quella corda attaccata al blocco di cemento, forse avrei preferito una vacanza in barca?.
STRANO, EPPURE ANCHE NEL SETTORE AMORE ero perfettamente il linea con gli standard Europei e degli amici del Bar. Avevo imparato, con un piccolo stratagemma a non confondere il nome della moglie con quello dell’amante, le chiamavo entrambe Luigi, il nome di mio nonno (vendeva turche).
(1° finale)
SOLO IL FUTURO MI ANGOSCIAVA UN PO’, le cose che avevo progettato di fare mi tenevano impegnato fino al 2296 e avevo già 42 anni, mi sentivo oppresso, pensai che la mia era una vita da cani e da lì mi venne l’idea: come cane avevo già 294 anni (42 x 7). Dunque: 2002 + 294 = 2296, ciò voleva dire che tutto quello che dovevo fare l’avevo già fatto, ero libero. Dal giorno dopo ero come Humphery Bogart in Casablanca:
lei: Dove sei stato ieri sera?
Lui : È passato tanto tempo, non me ne ricordo.
Lei : Ci vediamo stasera?
Lui : Non faccio mai piani così in anticipo.
(2° finale)
SOLO IL FUTURO MI ANGOSCIAVA UN PO’, le cose che avevo progettato di fare mi tenevano impegnato fino al 2296 e avevo già 42 anni. Poi mi venne in mente quello che rispose Humphery Bogart a Madeleine Lebeau in “Casablanca” Dove sei stato ieri sera?
– È passato tanto tempo, non me ne ricordo.
– Ci vediamo stasera?
– Non faccio mai piani così in anticipo.
Era come se mi fossi risvegliato da un lungo torpore, vidi sgretolarsi davanti a me l’agenda degli impegni. Anzi, vidi dissolversi il “domani”, il “tra cinque minuti”, i “progetti per il futuro”. Ma quale futuro a 42 anni? Cosa aspettavo a vivere? Mi sentivo Bogart al Rick’s bar di Casablanca. Certo all’inizio l’angoscia era forte, la confusione mi spaventava, dimenticai il cellulare nel congelatore ( e da allora le rare conversazioni mi sembrarono un po’ fredde) e il telecomando nel forno a microonde, salii sull’autobus mettendomi al posto di guida, mi lavai i denti con la pomata per le emorroidi, regalai gli spazzolotti del campionario ad un esterrefatto lavavetri senegalese, mandai all’amministratore di condominio due paia di pantaloni destinati alla lavanderia, abbandonai il beauty case di mia moglie davanti all’ambasciata israeliana (gli artificieri lo fecero brillare di lì a poco spargendo brandelli di rossetto e nuvole di cipria da tutte le parti), comprai 14 cagnolini meccanici da un ambulante cinese e li donai a un cingalese dal quale comprai tutte le rose che aveva e le donai all’ambulante cinese (in fondo erano miei colleghi).
E una sera lungo un viale mi sedetti sul cordolo di un marciapiede a conversare con un viados alto due metri (da seduto), che stava iniziando il turno di lavoro, discutemmo dell’influenza del neorealismo italiano nella poetica di Caetano Veloso. E io non avevo mai sentito nominare Caetano Veloso. Ma in fondo a quella strada il tramonto era così bello. E da quell’istante non ci sarebbe stato più spazio per gli spazzolotti, niente più passato, niente più futuro. Tirai fuori dal mio tascapane la serie di bombolette spray che avevo comprato nel pomeriggio e mi misi a colorare il muro grigio che stava al di là della strada. In fondo avevo studiato da grafico.
COME SCARDINARSI L’ESISTENZA (ESERCIZI PARADOSSALI)
Corri troppo la vita?, la programmi fino all’ultimo e non senti più niente? Con qualche piccolo accorgimento da domattina sarai un’altra persona.
La tua giornata comincia così:
1. suona la sveglia, fai mente locale degli impegni improrogabili della giornata, dopodichè con un colpo di karatè spacchi in quattro la sveglia e ti giri dall’altra parte.
2. suona il telefonino, sai già chi è e cosa vuole per la 5° volta. Questo esercizio consiste nel togliere la batteria dal telefonino con i denti e cercare il punto del cuscino più morbido.
3. rito sacrificale della cottura nel forno a microonde del nuovo palmare che ti hanno appena regalato; con esso si sciolgono gli impegni della giornata;
4. l’autobus è pieno zeppo, crisi di claustrofobia: esercizio anti panico, farsi spazio recitando a voce alta: “Signorre signorri dio vi benedica vengo di Bosnia….”
5. al supermercato sei in coda da mezz’ora alla cassa rapida; ti rendi conto che la cassa sarà rapida ma la cassiera mica tanto. Ti siedi dentro il carrello e fai uno spuntino pucciando i cetriolini nello yogurt. L’esercizio viene bene se contemporaneamente riesci a leggere Dylan Dog e a farti spingere da una signora cotonata in fila dietro di te;
6. decidi di visitare la pinacoteca di Brera col vespino, il custode te lo vieta perché i gas di scarico rovinano i quadri; cerchi di convincerlo, dici che così ti rilassi. Al suo nuovo diniego gli chiedi di curarti il vespino ed entri.
7. in ufficio con un ritardo pauroso ti giustifichi con un’invasione di cavallette al Quartiere Gallaratese.
8. vai a ritirare il tuo fuoristrada 4×4 dal gommista e dopo un anno ti chiedi perché l’avevi comperato visto che vivi in pianura. Per la prima volta decidi di utilizzare l’argano, agganci una cupola contenitore per il vetro e la svuoti nel giardino del tuo vicino. E’ un esercizio rilassante.
9. in macchina nel traffico fingi di essere rimasto senza benzina, esci con un sorriso e alzi le spalle imitando il Coker, ti fai aiutare a parcheggiarla, aspetti che se ne vanno e riparti. Da ripetere 12 volte, ti tornerà la bella sensazione delle cose inutili che si possono fare.