le due autostime

Avere una autostima positiva per molti significa “funzionare” bene socialmente, è quindi sport comune consumare la vita per dover essere sempre “all’altezza”, cercando di recuperare dall’esterno di sé quelle cose che in fondo si crede di non avere dentro. Al senso di inadeguatezza antico, ma ancora presente, spesso abbiamo reagito ponendoci come obiettivo un sé ideale onnipotente che nella nostra fantasia ci ricompenserà delle carenze subite.
Ma spesso, anche dopo che si è raggiunto un obiettivo, queste “cose” non sanno più di niente, e ricominciamo una nuova salita con l’angoscia che il fallimento ci porterà alla disapprovazione nostra e altrui. L’angoscia sottostante è che se falliremo non saremo amati.
La distanza tra quello che pensiamo di essere e quello che volevamo essere sarà la misura del nostro star male.
Solo quando qualcosa mette in gioco la nostra esistenza, la nostra scala di valori cambia repentinamente, e di colpo ci accorgiamo di quanto abbiamo vissuto lontano da noi.
Prima che questo succeda, possiamo creare un’autostima “mobile”, che non prenda troppo sul serio i nostri “traguardi onnipotenti” e inconsapevoli, ma nemmeno ci faccia credere che siamo ancora un “esserino” impotente di fronte alle difficoltà.
Creare una autostima mobile, che non si fossilizzi su quello che crediamo di essere, perché tanto ci riserveremmo sempre delle sorprese.